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Fuga da Zara nel 1957. Poi i Campi profughi di Udine, Laterina e la casa a Bologna

Apr 02 2024

Fuga da Zara nel 1957. Poi i Campi profughi di Udine, Laterina e la casa a Bologna

Mi raccontò mia madre, che a guerra finita, un pomeriggio, verso sera, vennero a ‘bussare’, con il calcio di fucile, alla porta della nostra casa a Zara, dei partigiani comunisti titini – ha detto Giovanni Stipcevich – cercavano mio padre, ma non lo trovarono, perciò si salvò. Qualche giorno dopo, a notte fonda, ‘bussarono’ alla porta della casa vicino alla nostra, dove viveva la famiglia di mio zio Antonio, fratello di mio padre. Lui era in casa. Lo prelevarono e non tornò più. Maria J., sua moglie, venne a sapere solo negli anni 1970-1980 che, come diceva la gente, il capo partigiano responsabile di quel fatto era probabilmente un parente di lei, così Maria, esule a Bologna, morì di crepacuore mentre si trovava proprio a Zara/Zadar”.

I nominativi degli Stipcevich e J. [cognome in sigla, per rispetto, NdR] compaiono nell’Elenco alfabetico profughi giuliani, del Comune di Laterina (AR), ai fascicoli n. 774 e 780; risultano emigrati per Bologna il 6 novembre 1958. C’è da dire che di nominativi Stipcevich, di Dalmazia, in quell’Elenco ce ne sono addirittura una trentina, emigrati a Meldola (FC), Bologna e Ascoli Piceno. Si ricorda che Zara era un’enclave italiana in Dalmazia, dalla fine della Grande Guerra; poi dal 1941 diventò capoluogo del Governatorato Italiano della Dalmazia, istituito dopo l’invasione della Jugoslavia da parte delle forze dell’Asse. Dopo l’8 settembre 1943 la città fu occupata dai nazisti, così gli angloamericani la bombardarono dal cielo ben 54 volte, mentre i partigiani jugoslavi di Tito si fecero sempre più sentire e la occuparono a fine ottobre del 1944, dopo la fuga dei tedeschi. Per gli storiografi jugoslavi la città fu “liberata” dai titini vincitori contro il nazifascismo. Più tardi, tuttavia, cominciò la caccia agli italiani.

Crp Laterina 1958, Giuseppina, Giovanni, Bruna, Sonia e Miriana Stipcevich vicino all’argine dell’Arno. Collezione Giovanni Stipcevich

A Zara parlavano degli italiani fucilati dai titini? “Quando ero un po’ più grande chiesi a mia madre, come mai in paese c’erano molte donne che si vestivano tutte di nero – ha aggiunto Stipcevich – Mi rispose che a Borgo Erizzo (sobborgo di Zara, a quell’epoca di circa 2.000 abitanti) vennero ‘portati via’ circa un centinaio di padri di famiglia. Le chiesi anche, perché nessuno parlava di queste cose, e lei mi rispose: ‘El xe mejo taser’ (È meglio tacere), perché altrimenti…”.

Quando è nato lei, signor Stipcevich? “Io sono nato proprio durante i bombardamenti di Zara, nel 1943 – ha detto il testimone – quindi non posso ricordare quello che stava succedendo attorno a me. Però, dopo la guerra, per molti anni sentivo nella mia testa il rumore assordante degli aerei che venivano da lontano, poi dei forti boati e grida della gente poi, piano, piano, il rumore si allontanava. Avevo forse 2 o 3 anni quando chiesi a mio padre: ‘Ma alla notte dove vanno a dormire gli aerei?’, e lui imbarazzato mi rispose: ‘Vanno a dormire sugli alberi’. Gli domandai: ‘Come gli uccelli?’. Io, all’imbrunire, guardavo in alto sugli alberi, e li immaginavo legati ai rami, però non li vedevo perché, pensavo, fossero nascosti dalle foglie”.

A Zara c’erano le foibe per eliminare gli italiani? “No, non c’erano le ‘foibe’, ma c’era tanto mare e tanti sassi – ha spiegato Giovanni – Bastava un po’ di filo di ferro legato da una parte ad una grossa pietra e dall’altra parte legato alle mani dietro la schiena delle persone indesiderate (italiani, filo italiani, fascisti, antifascisti, comunisti, anticomunisti ed altro) che rappresentavano l’italianità sul territorio, e poi, nella notte con le barche, le portavano a largo e venivano buttate in fondo al mare, senza usare il fucile e senza sprecare una pallottola. Con il tempo, ci pensavano i pesci a finire il ‘lavoro’, senza lasciare traccia”.

Dopo la fine della guerra, com’è stata la vita sotto Tito? “Agli inizi degli anni ‘50 sentivo parlare i miei genitori, dicevano che il comunismo ci stava rovinando – ha replicato Stipcevich – Tutte le fabbriche rimaste, dopo il bombardamento di Zara, erano diventate statali. Anche le nostre case e terreni erano diventati statali. Tutto dello stato. Mancava tutto nei negozi. Mancavano viveri, vestiti, scarpe. Era vietato parlare l’italiano e anche andare in chiesa. Quelli che trasgredivano venivano convocati dalla polizia (UDBA) e puniti con la reclusione. Quelli che parlavano male del comunismo venivano convocati e qualcuno non tornava più. Compiuti i miei sette anni ci arriva a casa una lettera, scritta in croato, nella quale si invitava l’alunno Stipčević Ivan a presentarsi in una certa data a scuola per iniziare a frequentare le scuole elementari croate. I miei genitori hanno subito capito che, senza tante formalità,  mi avevano cambiato il nome, da Giovanni il mio nome è diventato Ivan e anche il cognome cambiò grafia”.

Erano buoni i maestri? “A scuola, ci insegnavano la lingua serbo-croata – ha risposto – La maestra comunista jugoslava, molto cattiva, oltre a insegnarci a leggere e scrivere, ci indottrinava sul comunismo. Ci faceva vedere le figure di Hitler e Mussolini raffigurati come assassini, mentre ci diceva che Tito, Lenin e Stalin erano il futuro radioso della popolazione mondiale. Un anno, frequentavo le medie, e noi ragazzi, in maggioranza di religione cattolica, decidemmo di non andare a scuola il giorno di Natale. Il professore, capo classe, ci disse che chi si assentava dalle lezioni il 25 dicembre sarebbe stato punito con un voto basso in condotta. Infatti alla fine dell’anno scolastico il voto in condotta era due (il massimo voto, in Jugoslavia, era il cinque). Questo voto abbassò di molto il giudizio finale. A fine anno, nella pagella, come anche in tutti i documenti ufficiali, dopo la firma dell’insegnante c’era la scritta: “Smrt fašizmu, sloboda narodu” (Morte al fascismo, libertà al popolo), oppure l’acronimo serbo-croato: S.F.S.N.”.

Quando siete venuti via e con quale mezzo? “Con il trattato di Parigi del 10 febbraio 1947, i cittadini italiani domiciliati in territorio ceduto dall’Italia alla Jugoslavia avevano la facoltà di optare per la cittadinanza italiana – è la risposta – Mio padre e mia madre decisero di optare, ma la domanda fu respinta. Chiunque avesse optato conservava la cittadinanza italiana e poteva emigrare. Mentre chi andava via con lo svincolo della cittadinanza jugoslava non poteva portare con sé denaro, né mobili. Gli immobili (case, terreni ecc.) erano considerati beni di proprietà dello stato jugoslavo. Prima della scadenza definitiva del termine i miei genitori decisero di trasferirsi in Italia. Nel frattempo (1947-1957) eravamo una specie di apolidi. Italiani di diritto, jugoslavi di fatto? Era ottobre del 1957, caricati su un carro, trainato da un cavallo lasciammo la nostra abitazione di Borgo Erizzo per essere imbarcati su una nave che ci ha portato fino a Fiume. Da lì siamo saliti su un treno che ci ha portati a Udine. Ci hanno sistemato nel Centro di Smistamento Profughi che si trovava nella periferia del capoluogo friulano, dove, dal 1947 al 1960, transitarono circa centomila persone dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia. La mia famiglia, composta da sette persone (padre, madre e cinque figli) è stata alloggiata in una stanza decorosa. Dopo circa una ventina di giorni (novembre 1957) ci comunicano che ci trasferivano nel Centro Raccolta Profughi di Laterina (Crp), presso Arezzo. Ricordo che a Udine andavamo in una piazza in stile veneziano a vedere i mori che battono le ore dalla torre civica. Dopo tante ore di viaggio in treno, poi in corriera siamo finalmente giunti al Crp di Laterina. All’ingresso del campo stesso c’erano alcune persone che ci hanno accolto e indicato a chi dovevamo rivolgerci per l’assegnazione della baracca per l’alloggio. Eravamo nella baracca n. 6”.

Centro raccolta profughi di Laterina – Il paese è lassù in alto. Bambini, profughi (dignitosi), vino (poco) e filo spinato. Giovanni Stipcevich è il 2° a destra in piedi, 1958. Collezione Giovanni Stipcevich

Come era la vita al Campo profughi di Laterina? “Il campo di Laterina a partire dalla Seconda Guerra Mondiale è stato prima campo di concentramento – ha detto Stipcevich – poi campo per prigionieri di guerra (1941 – 1945),  campo per internati di civili ex fascisti (1945 – 1946) e infine campo di accoglienza dei profughi dell’esodo istriano, fiumano, dalmata ed altri (1946 – 1963). La maggiore parte delle baracche (una dozzina circa), adibite ad abitazioni, era lunga circa 55 metri e larga circa 7 metri. L’altezza dei muri laterali era di circa 2,5 metri e il colmo raggiungeva 3,5 metri. Nel centro, nella parte longitudinale della baracca, c’era un muro alto 2,5 metri; non c’era il soffitto, e i vani interni erano tutti comunicanti. I servizi igienici, che servivano circa 20 – 30 famiglie, formati da lavandini in muratura con rubinetti e piccoli spazi muniti di un foro per i bisogni corporali, erano ubicati all’estremità della baracca. A noi sono stati assegnati circa 20 mq di superficie. Le pareti divisorie tra una famiglia e l’altra erano formate da coperte appese a un filo fissato alla parete interna con quella esterna. La direzione ci ha consegnato alcune coperte (quelle militari di colore grigio-scuro), dei pagliericci e paglia per riempire i pagliericci stessi. Ad un certo punto, mentre stavamo sistemando tutte le nostre cose, mia madre, disperata, si rivolse, in lingua croata, a mio padre: “Ajme  Miro, a di smo došli …?” (Ah, Miro dove siamo venuti …?). Noi siamo partiti da Zara ed avevamo la nostra casa, la nostra terra, i nostri beni, la nostra dignità, ma non ci saremmo mai aspettati di arrivare in un posto così triste. Si pativa la fame. Giustamente, noi profughi, non eravamo ben visti dai contadini locali. Il mio primo lavoro nel campo profughi, a quattordici anni, fu quello di tagliare la legna, con l’ascia, per alimentare le stufe che riscaldavano le aule delle scuole elementari del campo. Una fatica, una tristezza. Per questo lavoro mi davano circa cento lire al giorno. Al campo ho dovuto frequentare la quinta elementare perché gli studi fatti in Jugoslavia non erano legalmente riconosciuti. Dopo un anno circa, a novembre del 1958, ci trasferimmo a Bologna, perché la mamma lavorava alla Manifattura Tabacchi e, più tardi, ottenemmo un alloggio nelle case ministeriali”.

Ha dei parenti all’estero? “Sì, in Canada e in Australia – ha concluso il testimone – ma abbiamo perso i contatti, che invece restano vivi con i parenti di Zara, oggi Zadar, in Croazia, dove mi reco almeno una volta all’anno. Non posso star distante da quei luoghi”.

Fonte orale – Giovanni Stipcevich, Zara 1943, vice presidente dell’ANVGD di Bologna, int. telefonica del 28 marzo 2024 a cura di Elio Varutti e autorizzazione alla pubblicazione del 2 aprile 2024.

Fonti archivistiche

– Comune di Laterina (AR), Elenco alfabetico profughi giuliani, 1949-1961, ms.

Documenti originali

Intervista a Giovanni Stipcevich, a cura dell’Avv. Prof. Fabio Poluzzi, Istituto d’Istruzione Superiore “Archimede” di San Giovanni in Persiceto (BO), in occasione della “Giornata del Ricordo”, 2020, videoscr., pp. 4.

Collezioni private

– Giovanni Stipcevich, fotografie, testi in Word.

Bibliografia e sitologia

– Culture di confine APS, Intervista a Stipcevich, Prog. Toscana il piroscafo della fine e dell’inizio, con colonna sonora il brano di Sergio Endrigo “1947”, arrangiato e cantato da Giovanni Stipcevich, Associazione Italiana Cultura e Sport (AICS) Bologna, 11 febbraio 2022.

– E. Varutti, La patria perduta. Vita quotidiana e testimonianze sul Centro raccolta profughi Giuliano Dalmati di Laterina 1946-1963, Aska edizioni, Firenze, 2021. In formato e-book dal 2022. Seconda edizione cartacea dal 2023.

– E. Varutti, Via da Zara nel 1957, poi Trieste, Udine e Campo profughi di Laterina. Bruno Stipcevich racconta, on line dal 29 agosto 2022 su  evarutti.wixsite.com

Progetto di: Claudio Ausilio (ANVGD di Arezzo). Testo a cura di Elio Varutti, coordinatore del Gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking e ricerche a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettori: Giovanni Stipcevich (ANVGD di Bologna), Claudio Ausilio, Sergio Satti, Bruno Bonetti, Emilio Fatovic (ANVGD di Udine), i professori Marcello Mencarelli e Ezio Cragnolini. Grazie a Alessandra Casgnola, Web designer e componente del Consiglio Esecutivo dell’ANVGD di Udine.

Copertina: Crp Laterina, esuli e calciatori, 1958. Collezione Giovanni Stipcevich. Adesioni al progetto: Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine, ANVGD di Arezzo. Fotografie della collezione di Giovanni Stipcevich e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web:  https://anvgdud.it/

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