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Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia - Comitato Udine | Presentato a Udine il libro di Guido Porro da Capodistria con l’ANVGD
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Presentato a Udine il libro di Guido Porro da Capodistria con l’ANVGD

Nov 29 2020

Presentato a Udine il libro di Guido Porro da Capodistria con l’ANVGD

C’è stato un nuovo evento il 5 aprile 2019 alle ore 17,30 in Via Poscolle n. 65 a Udine presso “Il Caffè dei Libri”. Bruna Zuccolin, presidente del Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD) ha presentato il libro di Guido Porro dal titolo “Via, dobbiamo partire!”, la testimonianza di un esule istriano. Alessandro Porro figlio dell’autore, ha conversato con Bruna Zuccolin, che ha anche letto alcuni brani del testo dinnanzi a un ventina di presenti. Ha presentato i due relatori il professor Elio Varutti, vicepresidente ANVGD di Udine.

Il professor Guido Porro era nato a Capodistria nel 1932 ed è morto a Pordenone nel 2011. È stato insegnante di storia e filosofia nelle scuole superiori di Pordenone, oltre che amministratore locale e provinciale. Ha descritto lo sradicamento di una cultura, di una civiltà e di una lingua, durante e dopo la seconda guerra mondiale, in Istria, a Fiume e nella Dalmazia italiana.

Come riportato anche dalla stampa locale ecco i contenuti di Porro: “Dalla Venezia Giulia hanno raschiato via tutto. Persino i colori (le tinte) delle case e dei palazzi, che erano caldi e vivaci come quelli di Venezia (e di tutto l’Alto Adriatico), li hanno lasciati ingrigire e sbiancare perché sembrassero di nessuno”.

I ricordi, i dialoghi e le riflessioni di un esule istriano sono stati rivitalizzati dal figlio Alessandro, che li ha raccolti nel libro “Via, dobbiamo partire!” edito da La Voce, di Pordenone. Il testo, arricchito dalle pitture ad acquerello dello stesso Guido Porro, è già stato presentato a Pordenone, a Gorizia, in altre località della regione e ne ha parlato perfino la radio RAI di Trieste, col giornalista Massimo Gobessi. Il libro si articola in cinque parti: prima della guerra, durante la guerra, fine della guerra, il Trattato di pace del 1947, il Trattato di Osimo e il Giorno del ricordo.

Guido Porro fu, per molti anni, collaboratore de «La Sveglia», periodico della “Fameia Capodistriana” con gli articoli a firma “Il ragazzo del sicomoro”.

Un po’ di storia

I genitori di Guido Porro, Corrado e la moglie Maria Corti, entrambi maestri, risiedevano a Capodistria dal 1906. Corrado fu arrestato dai partigiani mentre camminava  per strada,  ma fu salvato per miracolo dall’infoibamento grazie all’intervento di un giovane partigiano che era stato suo allievo a scuola, che gli aprì la porta del carcere e lo fece tornare a casa. Continuò quindi a vivere nella sua città, fino al 1953, dopo la perquisizione della casa da parte della polizia popolare, quando le insistenze degli attivisti comunisti che esortavano gli italiani ad andarsene diventarono  insostenibili. Il secondo dei loro dieci figli,  il professor Guido Porro (Capodistria, 1932 – Pordenone, 2011) – insegnante di storia e filosofia nelle scuole superiori di Pordenone e amministratore locale e provinciale, presidente dell’Istituto Regionale di Studi Europei –  racconta come la sua  famiglia, italiana di cultura,  cresciuta in una tradizione cristiana, si ritrovò  a un certo punto al termine della Seconda guerra mondiale a dover vivere in una realtà caratterizzata dalla presenza di occupatori stranieri  totalmente nemici dei valori religiosi.

Alessandro Porro, figlio di Guido, ha raccontato di come venivano ostacolate tutte le dimostrazioni religiose, considerate una perdita di tempo, e di  come i preti fossero percepiti come persone inutili e dannose. Non è tutto perché la festa del Natale dai titini venne sostituita con la cosiddetta festa di  “Babbo inverno”. Poi si racconta di come chi andava a messa o chi seguiva le processioni venisse picchiato, di come il padre Guido sedicenne di sua iniziativa nei momenti di pausa dal gioco cercasse di mantenere la fede in un gruppo di bambini, raccontando loro “qualcosa su Gesù”,  un’attività clandestina, molto pericolosa.

Il quindicenne Guido Porro fu anche testimone oculare del pestaggio del vescovo, monsignor Antonio Santin, avvenuto a Capodistria in occasione della festa del Patrono: “Io mi trovavo all’esterno della chiesa e, poco distante a me, vidi radunarsi un gruppo di persone. Avevano circondato il vescovo e lo stavano picchiando a bastonate. Non erano militari, era la solita gentaglia mandata per compiere questi massacri. Fu veramente massacrato di botte, e io vidi il vescovo che sanguinava, pestato a sangue”.

Alessandro Porro e Bruna Zuccolin

Due parole su Santin vescovo dal web

Nel 1947 monsignor Santin rischiò letteralmente la vita per recarsi in visita pastorale dai suoi parrocchiani di Capodistria, in occasione della ricorrenza di San Nazario, co-titolare, con l’Assunta, della cattedrale cittadina. Il 19 giugno mons. Santin conosceva il pericolo che correva, perché era stato infornato che gli jugoslavi avrebbero cercato di ucciderlo, se avesse osato farsi vedere a Capodistria, città ormai saldamente tenuta dai titini e destinata, come tutta l’Istria, all’annessione nel ”paradiso” comunista del maresciallo Tito. Pure, non esitò un attimo; disse semplicemente: è mio dovere. Vi si recò da solo, senza neanche il segretario personale, proprio per non esporre al pericolo la vita di nessun altro; e, pur avendo adottato qualche precauzione, fu aggredito nel seminario, trascinato fuori, picchiato a sangue e sarebbe stato ucciso se i “poliziotti” jugoslavi, cioè i partigiani titini già responsabili di migliaia di violenze contro i nostri connazionali, durante e dopo la guerra, non fossero giunti sul posto, volutamente in ritardo, a prelevarlo, per paura di un intervento di truppe USA dal vicino Territorio Libero di Trieste (TLT).

Antonio Santin (1895-1981), nato nella italianissima Rovigno, in Istria, e ordinato sacerdote nel 1918, quando ancora c’era l’Austria-Ungheria, divenne vescovo di Fiume nel 1933 e vescovo di Trieste e Capodistria nel 1938, poi insignito della dignità di arcivescovo nel 1963 a titolo personale (Trieste era e rimane una sede vescovile; fino al 1977 comprendeva la diocesi di Capodistria; e si noti che per quasi un secolo aveva avuto solo vescovi sloveni o tedeschi). Rimase a capo della sua diocesi fino al 1975, per un totale di trentasette anni: gli anni più difficili, quelli della Seconda guerra mondiale, della guerra civile, dell’occupazione jugoslava e della Guerra Fredda.

Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

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